Con il kick off meeting tenutosi a ottobre ad Anversa (BE) ha preso ufficialmente il via il progetto LIFE Capture, che potrà contare su un budget complessivo di 5 milioni di euro, finanziati al 60% dal programma comunitario per l’ambiente e l’azione per il clima LIFE.
Viacqua potrà disporre di un totale di 286.439 euro, di cui 171.863 euro da contributo.
Otto sono i partner coinvolti con Viacqua, Politecnico di Milano e Università degli Studi di Milano-Bicocca a comporre il pool italiano, ai quali si affiancheranno ABO NV, iFLUX BVBA e SGS Belgium nv dal Belgio, GreenSoil Internationale B.V. dall’Olanda e Sverige Lantbruksuniversitet dalla Svezia.
Il progetto, che avrà durata quinquennale, si propone di caratterizzare il comportamento chimico-fisico dei PFAS, sviluppando soluzioni innovative di bonifica per il suolo e le acque sotterranee contaminate da composti perfluoroalchilici. Viacqua e gli altri partner italiani saranno in particolare coinvolti nella sperimentazione sul campo di nuove tecnologie ad alta efficacia per l’eliminazione dei PFAS, installando un apposito strumento presso il pozzo Scaligeri, unico tra quelli gestiti da Viacqua ad essere stato chiuso in seguito alla contaminazione da PFAS, scoperta nel 2013.
Viacqua, con il suo Centro RIVE, collaborerà direttamente con il SurfaceLAB - Laboratorio di Ingegneria delle Superfici ed Elettrochimica Applicata "Roberto Piontelli” del Politecnico di Milano. Assieme alla prof.ssa Silvia Franz il progetto svilupperà e verificherà sul campo le performance di una tecnologia al momento testata solo in laboratorio, ma che ha già dimostrato di poter mineralizzare i composti PFAS presenti nella matrice acquosa tramite processi di fotoelettrocatalisi avanzata. Si tratta di una nuova frontiera nel trattamento delle acque contaminate, molto più efficace, veloce ed economica degli attuali processi di filtrazione basati sui carboni attivi. Se i filtri, infatti, risultano molto efficaci nel rimuovere i PFAS dell’acqua, devono poi essere necessariamente smaltiti e rigenerati. Il lavoro che porterà avanti il gruppo della prof.ssa Franz, invece, rappresenta un concreto esempio di chiusura dell'economia circolare applicata al trattamento delle acque. Il contaminante viene letteralmente decomposto ed eliminato e non semplicemente “trasferito”. La sperimentazione si inserisce nel quadro di un programma di ricerca triennale che include, tra le azioni previste, la presenza anche di un dottorando per un periodo di test e conduzione di prove sperimentali.
“La famiglia dei PFAS – spiega il Direttore del Centro RIVE di Viacqua, ing. Paolo Ronco – annovera oltre 4.700 composti. Parliamo di sostanze ampiamente diffuse e utilizzate nei più disparati settori manifatturieri. I laboratori chimici più avanzati oggi riescono a riconoscerne appena una trentina, per questo motivo uno degli obiettivi specifici che si pone il progetto è di individuare un nuovo protocollo analitico per ampliare lo spettro dei PFAS identificabili e quantificabili. Si mirano poi a sviluppare nuove metodologie di monitoraggio del trasporto dei PFAS nei suoli e nelle falde acquifere con lo scopo di sviluppare protocolli specifici per diagnosticare rischi e impatti, fondamentali per l'implementazione di adeguate contro-misure di mitigazione”
“Dei più di 100 pozzi gestiti da Viacqua nel territorio dei 68 comuni soci – spiega il Presidente di Viacqua, Giuseppe Castaman – il pozzo Scaligeri è l’unico direttamente coinvolto dalla vasta contaminazione da PFAS e prontamente messo fuori servizio nel 2013. Il sito quindi si presta alla sperimentazione della tecnologia sviluppata dal Politecnico di Milano con il proprio SurfaceLAB, ma richiede alcuni interventi di adeguamento che andremo a realizzare tra il 2023 e il 2024. In particolare l’attuale portata del pozzo, pari a 70 l/s, dovrà essere ridotta sensibilmente per consentire il funzionamento della strumentazione approntata dal Politecnico. Una volta sviluppata e ingegnerizzata per consentirne il funzionamento su scala industriale in un contesto reale, questi reattori saranno posizionati all’interno di un container mobile e quindi collegati attraverso apposite derivazioni al pozzo. Tra i risultati attesi troviamo il netto miglioramento della durata dei filtri a carboni attivi con la conseguente contrazione dei costi attualmente in carico ai gestori idrici colpiti dalla contaminazione. Ma l’efficacia del procedimento che testeremo ci permetterebbe, in una seconda fase progettuale, di replicarlo e applicarlo anche in altri siti in cui si registra la presenza di PFAS.”